Teatro

Tullio Solenghi: "Per fare Govi ci vuole la sua maschera"

Tullio Solenghi
Tullio Solenghi

Abbiamo incontrato l'attore genovese, che oggi porta in scena le commedie del suo celebre concittadino Gilberto Govi

Galeotta fu la TV svizzera. Poi nacque il Trio e Tullio Solenghi divenne davvero Tullio Solenghi. Raggiunse l’iperuranio della televisione con Anna Marchesini e Massimo Lopez, poi dimostrò di essere in grado di cavarsela egregiamente anche da solo, fino a resuscitare nientemeno che Gilberto Govi

Un'operazione resa possibile grazie al Teatro Sociale di Camogli e al Teatro Nazionale di Genova, che hanno accettato di fare da Produzione al progetto. Lo abbiamo incontrato e intervistato in occasione del suo debutto nazionale con lo spettacolo Pignasecca e Pignaverde

Pignasecca e Pignaverde (2024)

A 17 anni era già alla scuola del Teatro Stabile di Genova: una signora scuola
Indubbiamente. La passione e un certa predisposizione al mestiere dell’attore c’erano già. La scuola mi ha dato organizzazione e prospettiva. La scuola ha codificato la materia grezza e le ha dato spessore.

Maestri?
Tutti quanti. Ognuno di loro ci ha dato qualcosa. E dico “ci” perché la cosa più importante che ho provato, l’emozione più forte, era quella di essere un gruppo affiatato. Non eravamo più dei cani sciolti ma una squadra, una compagnia che tentava la sorte. Ognuno di loro ci insegnava qualcosa. Ricordo i due assistenti registi di Luigi Squarzina, in particolare Vittorio Melloni. Penso ai due docenti di storia del teatro, Mario Manciotti e Luigi Carubbi. A insegnarci dizione era Lea Landi. C’erano addirittura lezioni di scherma. E’ stata importante anche la mia esperienza al CUT, il Centro Universitario Teatrale, con il regista Marco Prodi. E’ venuto anche Carlo Quartucci.

E dal punto di vista emotivo?
Ricordo il fascino di muovere i primi passi in questo mestiere, e soprattutto l’entusiasmo di scoprire a apprendere tante cose, tante tecniche del teatro.

Pignasecca e Pignaverde (2024)

Poi un debutto con il botto
Si, Madre Coraggio di Brecht. La protagonista era nientemeno che Lina Volonghi. In scena con me c’erano Omero Antonutti e Lucilla Morlacchi, che erano gli altri due figli. Suonava dal vivo l’orchestra del maestro Doriano Saracino. Poi Franco Carli; Eros Pagni, e Camillo Milli, che facevano il cuoco e il cappellano; Claudia Giannotti.

Praticamente un pezzo di storia del teatro futuro
In effetti, sono stato fortunato a lavorare con colleghi di questo calibro e spessore. Ci siamo arricchiti a vicenda.

Da Genova alle stelle?
Si ma con calma, un passo alla volta, in pieno stile genovese. Nel 1977 ero a Milano, a fare cabaret in un locale che non c’è più: Il Refettorio. C ‘era anche Beppe Grillo. Io facevo il primo tempo, Beppe il secondo. Per puro caso due genovesi lontani da casa, entrambi alle prime armi, in scena nello stesso.

Finché è arrivato Pippo Baudo a dire: questi li ho scoperti io!
Esatto. Una sera c’era per caso in sala Pippo Baudo. Ci ha visto e ha deciso di portarci a Roma. Prima trasmissione per me è stata Secondo Voi,  un inserto in diretta da Milano della Domenica In fatta a Roma da Corrado.

Prima Pippo Baudo, poi Corrado: una sfilza di big
A dire il vero quello con Corrado è stato un incontro casuale, ci ho lavorato solo una volta. Invece Pippo mi ha voluto nella sua agenzia: è stata una collaborazione durata per anni

Come è nato il trio?
Nei primi anni 80 come molti altri giovani attori italiani per sbarcare il lunario lavoravo alla TV della Svizzera italiana. Tra loro c’era Anna Marchesini, giovane attrice di Orvieto dalla grande personalità e presenza scenica. Sono stato subito folgorato dalla sua bravura.  Io  conoscevo già   Massimo Lopez, che era di Roma. Abbiamo deciso di inventarci qualcosa di nuovo, di fare qualcosa insieme. E così è nato il Trio.


Abbiamo partecipato a Helzapoppin su Radio 2; a Tasto Matto, a Domenica In. Nel 1986 è arrivato Fantastico 7. Per lo più facevamo delle imitazioni. Per esempio facemmo l’Ayatollah Khomeini.

E scoppiò il pandemonio
Si. Minacce di morte, proteste internazionali, attacchi all’Occidente. Ma noi non avevamo alcuna intenzione di offendere nessuno, ovviamente. Era solo una satira dell’attualità. Poi si è scoperto che era una cosa pretestuosa: era solo una scusa.

In che senso?
Un giorno incontro Romano Prodi, e mi dice: “Il tuo spettacolo è quello che è costato di più nella storia della televisione”. Gli ho chiesto cosa intendeva dire. “L’Iran ci doveva un sacco di soldi per dei lavori che avevamo fatto laggiù. Strade, porti, altre infrastrutture – mi spiegò Prodi – Ma hanno utilizzato la scusa di questa offesa mortale alla loro guida politica e spirituale per non pagarci più neanche una lira”. E dire che avevamo fatto anche la par condicio.

Ci spieghi meglio
Nella stessa trasmissione avevo fatto anche San Remo, un santo che non esiste, con un remo in mano. Poi ci mettevo il carico da 11 e dicevo “Con Christian, a Christian, e in Christian, a te Rai onnipotente, perdona loro perché non sanno quello che cantano”. Dove ovviamente Christian era il cantante. Però facevamo grandissimi ascolti: tanto che il potentissimo Biagio Agnes, all’epoca direttore generale della Rai voleva darci la conduzione di Fantastico. E cioè il top delle offerte possibili.

E voi?
Abbiamo detto no. Volevamo fare qualcosa di nuovo, di diverso.

E che è successo?
Ci hanno spedito a Torino, per punizione. Infatti a Torino si facevano quasi solo programmi per i ragazzi. Noi non ci siamo persi d’animo e abbiamo iniziato a fare le nostre parodie: il telegiornale, la Famiglia reale inglese, i Promessi sposi, le Telenovele.

Un pezzo di storia della televisione
Si, ci siamo tolti delle belle soddisfazioni. Ma sarebbe stato impossibile realizzare certe cose senza quella speciale alchimia che si era creata fra noi tre.

Oggi Tullio Solenghi porta in scena Gilberto Govi
Sì. Due anni fa tutte le tappe della tournèe di I maneggi per maritare una figlia hanno sempre fatto il sold out. Con me a fare la moglie di Govi c’era un’attrice formidabile come Elisabetta Pozzi. Quest’anno abbiamo appena varato Pignasecca e Pignaverde, e la tendenza sembra essere la stessa. I maneggi ha avuto un successo strepitoso grazie alla verve e al ritmo pieno di battute. Pignasecca e Pignaverde è un testo teatralmente più solido e di spessore, ma sempre molto divertente.

Maneggi per maritare una figlia (2023)

Mica facile interpretare Govi
Il percorso iniziato con l’elaborazione e la rappresentazione dei Maneggi mi ha arricchito molto come attore. In Pignasecca il protagonista ha dei lati oscuri: come una negatività totale nei confronti della figlia. Pignasecca è l’avaro in salsa genovese. Ha a che fare con il concetto di parsimonia che è nel Dna ligure: e quindi non è arida e basta. Infatti invece di scegliere la soluzione più comoda, sceglie quella che privilegia la famiglia: e lo dice chiaramente. 

Non vuole che la figlia vada in Sud America sposando un marito argentino: vuole che i suoi nipoti restino li con lui, e vuole lasciare a loro il suo patrimonio quando morirà. Anche qui ci sono molti spunti comici: ma sono disposti ad arte.

Ma come è nata l’idea di fare Govi?
Per caso, come accade spesso con le belle idee. Un giorno io e il mio amico e collega Maurizio Lastrico eravamo stati coinvolti in una lettura di alcuni brani di Govi. Non ci siamo nemmeno preparati, pensavamo di leggere qualche pagina con un po’ di dialetto genovese, e basta: invece ci siamo trovati davanti a duemila persone entusiaste. Da li ho pensato che forse alla gente mancava Govi.

Lei non imita Gilberto Govi: è diventato un vero clone dell’attore genovese
I testi di un grande come Eduardo sono grandissimi, ma possono essere messi in scena anche senza Eduardo: Govi, no. Per Govi ci vuole la sua maschera, i suoi tic, le sue smorfie, la sua voce. Fare Govi senza Govi è come tradirlo un po’. Infatti altre messe in scena del passato sono passate sotto silenzio: nessuno se le ricorda più.
Le commedie di Govi non sono state scritte da lui: i Maneggi è di Felice Pastorino, Pignasecca è di Emerico Valentinetti. Ma Govi le ha trasformate in qualcosa di suo, unico e irripetibile, filtrandole attraverso la sua sensibilità. 

Govi senza Govi non si può fare. Per questo ho scelto di clonarlo, riproducendo le mimiche, la parlata, l’accento, le smorfie, le pause: tutto. In questo mi ha aiutato il fatto che io ho iniziato la carriera facendo molte cose, tra cui l’imitatore. Non facciamo Govi identico all’originale perché abbiamo poca fantasia: lo facciamo così perchè è l’unico modo. E così riusciamo a dare al pubblico di oggi le stesse emozioni che Gilberto Govi dava ai nostri genitori e nonni.